Abbiamo parlato del 41bis e dell’ergastolo ostativo con Valeria Verdolini, sociologa che insegna Politiche della sicurezza urbana all'Università degli Studi di Milano Bicocca.
La storia della traduzione in sanscrito del Don Chisciotte
Nel 1935 Carl Tilden Keller, ricchissimo imprenditore americano e accanito collezionista di libri, decise di aggiungere un titolo alla sua biblioteca personale. Keller era un grande amante del Don Chisciotte di Cervantes: ne aveva moltissime edizioni e traduzioni, andava particolarmente orgoglioso di quelle in lingua giapponese, mongola e islandese. Non ne aveva mai trovata una in sanscrito, però, quindi decise di realizzarla lui. Chiese aiuto a un suo amico, sir Marc Aurel Stein, orientalista, archeologo, esploratore e profondo conoscitore dell’India. Keller contava sul fatto che Stein avrebbe saputo indicargli le persone giuste a cui affidare la traduzione dell’opera. Stein contattò un suo vecchio amico, il pandit – titolo onorifico con il quale in hindi e sanscrito si indicano gli studiosi, gli eruditi – Nityanand Shastri. Quest’ultimo accettò l’incarico ma, essendo rimasto paralizzato in seguito a un infarto, dovette chiedere l’aiuto di un altro erudito, Jagaddhar Zadoo, che diventerà così il co-traduttore del Don Chisciotte in sanscrito.
Nè Shastri né Zadoo conoscevano una sola parola di spagnolo, e quindi come testo di partenza scelsero una traduzione dell’opera fatta nel XVIII secolo dal pittore e traduttore irlandese Charles Jarvis. Ci misero due anni per tradurre otto capitoli della prima parte del Don Chisciotte, usando una prosa che gli studiosi oggi descrivono «delicata e molto precisa». Quando Keller, nel 1955, morì, questa traduzione unica al mondo divenne parte del patrimonio dell’università di Harvard, assieme a tutti gli altri tesori letterari che Keller aveva accumulato nella sua vita. Fino al 2012, la traduzione di Shastri e Zadoo rimase chiusa negli archivi dell’università, dimenticata fino a quando a Dragomir Dimitrov, professore dell’Università Phillips di Marburgo, non capitò di leggere un articolo del 2002, scritto dal nipote di Shastri, che raccontava la storia di suo nonno, di Zadoo, di Stein e di Keller. Dimitrov partì dunque alla caccia del manoscritto e anche della traduzione di Jarvis che i due pandit avevano usato come base del loro lavoro. Trovatele entrambe, Dimitrov decise di realizzare la prima traduzione in sanscrito e inglese del XVIII secolo dell’opera di Cervantes, con tanto di audiolibro di accompagnamento e dell’intera corrispondenza epistolare tra Keller e Stein.
Questa nuova traduzione del Don Chisciotte è stata pubblicata alla fine del 2019 come parte di una serie di ricerche sull’indologia dell’università di Pune. Poco dopo comincerà la pandemia e la notizia della traduzione nella più antica lingua del mondo del primo romanzo della storia passerà subito in secondo piano. È per recuperare il tempo perso a causa della pandemia che oggi il libro viene nuovamente presentato all’Istituto Cervantes di Nuova Delhi: come ha detto al Guardian il direttore dell’Istituto Óscar Pujol, per dare a questa opera straordinaria e alla storia incredibile della sua traduzione in sanscrito «l’amore e l’attenzione che meritano».