Siamo pronti a tornare dentro ai ristoranti?

Con l’abbassamento delle temperature saremo costretti ad abbandonare i tavolini all’esterno, e tutte le loro suggestioni.

23 Settembre 2020

Che niente accade per caso ce l’hanno suggerito in un numero indistinto di circostanze. Espressione abusata da nonne, blog naturalisti, la segue solo “le parole sono importanti”, non esiste nessuno che non abbia citato Palombella Rossa almeno una volta. Eppure in tempo di pandemia e quindi di legittime preoccupazioni, nulla è più potuto accadere per caso davvero, nemmeno – soprattutto – la scelta del bar o del ristorante. Abbiamo preferito e prenotato quelli che permettessero di consumare seduti nei tavolini all’aperto, tutti quelli a cui Palazzo Marino a luglio aveva esteso la possibilità di istallare dehor anche nelle strade locali, modificando la Disciplina del diritto a occupare il suolo pubblico. Ma le temperature si sono abbassate, è arrivata la Niña che sta raffreddando le acque superficiali dell’Oceano Pacifico centrale e orientale, cenare all’esterno è diventato complesso, e senza la ventilazione naturale dell’aria che ci siamo persuasi ci protegga dai droplet, ci stiamo chiedendo quanto tornare a mangiare all’interno dei locali possa essere rischioso.

Meno posti auto e più fioriere. Fino a sabato scorso via Borsieri a Milano ricordava l’ultima cena di Jesus Christ Super Star con il clima di festa generale, i personaggi dei Vangeli con l’Aglianico. Dopo quattro mesi e oltre 2 mila permessi concessi ai locali per riempire di tavoli e sedie le strade e le piazze cambiando il volto di alcune zone residenziali, ombrelloni, lucine, nuovi punti di ritrovo, il totale è stato di circa 5 mila metri occupati all’aperto, fra marciapiedi e carreggiate – dove anche la velocità è stata ridotta a 30 o 15 km/h. Ma adesso, nonostante il periodo entro il quale la Giunta comunale ha previsto la concessione gratuita di occupazione di suolo pubblico ai locali si estenda almeno fino al 31 ottobre, «proseguire avrebbe poco senso», ha detto Lino Stoppani, presidente di Epam-pubblici esercizi associati a Confcommercio. «Le occupazioni esterne sono un bel vedere, la città si è rivitalizzata ma al tempo stesso nei mesi più rigidi crediamo che non ne valga la pena».

Quella dei tavolini è l’estetica della vacanza. Paradigma dell’arredo balneare, di Pinterest, immaginiamo di essere ancora in Liguria, nel Salento, a Sabaudia, in una canzone di Tommaso Paradiso a concederci il tempo di parlare della tradizione sannita dei cefali, di avere tutto settembre davanti. A livello igienico, in molti casi abbiamo compreso che consumare il pasto in un ristorante rappresenta un rischio di infezione alto sia all’esterno che all’interno, considerando che è impossibile mangiare o bere indossando una mascherina (l’aveva osservato anche il Cdc Usa, consigliando di usare più cautela anche nei dehor) e che è molto più facile ritrovarsi in un assembramento proprio all’esterno, piuttosto che in una sala. Ci siamo scambiati i bicchieri perché non ce ne siamo accorti, parole, racconti con amici di amici che non sappiamo nemmeno se siano stati a Porto Cervo ad agosto. Ma l’idea di tornare “dentro”, dopo essere stati “dentro” per così tanti mesi, spaventa quasi unanimemente.

Mentre a New York il governatore Cuomo ha iniziato a consentire la consumazione anche al chiuso, ponendo fine al divieto di mangiare nei locali pubblici al coperto, su The Cut Jennifer Lighter, medico e docente di epidemiologia alla NYU Langone Health, ha spiegato che proprio le grandi città dovrebbero in questo senso farci sentire più sicuri, «perché i ristoranti e i bar dispongono generalmente di più spazio. L’importante è ridurre la capienza ancora per un po’, così da distanziare i tavoli. Non cambia molto da una palestra o da un cinema».

Più di tutto è una questione di fascinazione, e di tutte quelle suggestioni che i tavolini all’esterno sono e sono stati in grado di darci, abbandonarli vuol dire chiudere la parentesi più rasserenante dell’anno, finire definitivamente l’estate delle città con la musica esterna ai locali –  era «scriverò di amarti sulle note di un iPhone» e andava bene –  unita al rumore del traffico. C’eravamo già persi la primavera, abbiamo avvertito la foga di occupare tutto l’esterno possibile, tutto il “fuori” di cui eravamo rimasti senza. Nulla accadrà ancora per caso, per stare all’interno dovremo prenotare con molto più anticipo. Speriamo almeno nella musica giusta.

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