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Potrebbe esserci una “materia oscura immunitaria” che rende alcuni Paesi meno vulnerabili al Coronavirus
In un’intervista con il Guardian, il neuroscienziato Karl Friston ha spiegato alcune cose interessanti riguardo al differente grado di immunità al Covid-19 che abbiamo registrato negli ultimi mesi da Paese a Paese. Friston, professore dell’University College of London, costruisce modelli matematici che replicano il funzionamento del cervello umano ed è membro dell’Independent Sage, il comitato “alternativo” all’organismo ufficiale di consulenza sulla pandemia che assiste il governo britannico sull’emergenza Coronavirus, il Scientific Advisory Group for Emergencies (Sage).
Per quanto riguarda la differente evoluzione del virus, Friston cita il caso della Germania: «Abbiamo confrontato i dati del Regno Unito e quelli della Germania per cercare di spiegare i tassi di mortalità relativamente bassi in Germania. Le risposte a volte sono controintuitive. Ad esempio, sembra che il basso tasso di mortalità tedesco non sia dovuto alla loro superiore capacità di test, ma piuttosto al fatto che il tedesco medio ha meno probabilità di infettarsi e morire rispetto al britannico medio. Perché? Ci sono varie possibili spiegazioni, ma una che sembra sempre più probabile è che la Germania abbia una sorta di “materia oscura” di natura immunologica – persone che sono impermeabili all’infezione, forse perché sono geograficamente isolate o hanno una qualche resistenza naturale. È come la materia oscura nell’universo: non possiamo vederla, ma sappiamo che deve essere lì per spiegare ciò che possiamo vedere. Sapere che esiste è utile per prepararci a una eventuale seconda ondata, perché suggerisce che i test mirati sui soggetti ad alto rischio potrebbero essere un approccio migliore rispetto ai test non selettivi estesi a tutta la popolazione».
Nell’intervista, il professore spiega che l’Independent Sage sta utilizzando dei modelli diversi da quelli convenzionalmente usati dagli epidemiologici, che si basano sui dati storici per estrapolare quelli futuri. «Quei modelli guardano alla superficie del fenomeno: la parte osservabile o i dati. Il nostro approccio, che prende in prestito la fisica e in particolare il lavoro di Richard Feynman, va invece più in profondità», dice Friston, «Tenta infatti di catturare la struttura matematica del fenomeno – in questo caso, la pandemia – e di comprendere le cause di ciò che osserviamo. Poiché non conosciamo tutte le cause, dobbiamo dedurle. Ma questa inferenza e l’incertezza implicita sono incorporate nei modelli. Ecco perché li chiamiamo “modelli generativi”, perché contengono tutto ciò che devi sapere per generare i dati. Man mano che arrivano più dati, modifichi le tue convinzioni sulle cause, fino a quando il tuo modello non simula i dati nel modo più preciso e semplice possibile».