Una conversazione libera tra due Millennial su matrimonio gay, diritti acquisiti e diritti da conquistare, vite da privilegiati e vittimismo social, militanze vecchie e nuove e prospettive per il futuro.
Un reporter dello Spiegel ha falsificato per anni le notizie del settimanale tedesco
Il giornale di Amburgo è alle prese con un caso che rischia di minarne l’autorevolezza: il Guardian scrive che Claas Relotius, una delle firme di punta del settimanale, con all’attivo numerosi premi (l’ultimo in ordine di tempo è il corrispettivo tedesco del “Reporter dell’anno”), ha falsificato storie e protagonisti di almeno 14 dei 60 articoli firmati su Der Spiegel; le fonti delle inchieste erano in alcuni casi incerte, in altri inventate di sana pianta. Il reporter 33enne si è già dimesso. Lo scandalo è emerso grazie al collega Juan Moreno, che lo aveva aiutato in una delle ultime ricerche sui migranti al confine tra States e Messico. Moreno aveva infatti rintracciato due delle fonti citate, entrambe mai contattate dal giornalista tedesco; quest’ultimo aveva inoltre mentito sulla scoperta di un cartello che «vietava l’ingresso ai messicani». Tra le storie risultate false figurano l’inchiesta su un prigioniero yemenita recluso nel carcere di Guantánamo e l’articolo sull’ex quarterback dei San Francisco 49ers Colin Kaepernick.
Il giornale, tra i più letti del Paese con una tiratura mensile di 725.000 copie, dopo aver dichiarato di essere scioccato per quanto accaduto, si è scusato pubblicamente per possibili «citazioni fraudolente, dettagli o scene inventate». La rivista accusa inoltre Relotius di averla trascinata «al punto più basso di una storia di oltre settant’anni». Una commissione interna sta già passando al vaglio la bibliografia del reporter, che in passato aveva collaborato con altri giornali della Germania, da Die Welt a Taz. Dal canto suo, Relotius si dichiara pentito e «bisognoso di aiuto perché malato». Inizialmente, il giornalista aveva rispedito al mittente le accuse di Moreno, spingendo gran parte della redazione a considerarlo un invidioso manipolatore; messo alle strette, alla fine ha però ceduto, ammettendo le proprie responsabilità davanti ai vertici della testata e sostenendo di aver agito spinto dalla paura di fallire, specialmente dopo il successo di cui aveva goduto negli ultimi anni. Lo scandalo rappresenta potenzialmente un terremoto per Der Spiegel, al punto che diversi colleghi di Relotius sarebbero «stupiti e tristi, come per un lutto in famiglia».