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Grillo si è stufato dei grillini?

Il volto del populismo italiano ha definitivamente sganciato il suo blog dal Movimento, ma non si capisce se è un divorzio rabbioso o una rivoluzione pacifica.

23 Gennaio 2018

Alla vigilia delle elezioni politiche del 2013, quando Beppe Grillo salì sul palco di piazza san Giovanni a Roma nell’ultima tappa dello Tsunami Tour, non c’erano dubbi: lui era lo tsunami. Il Movimento era una sua creatura, nato dal suo blog, e lui era la guida politica incontrastata. O almeno così sembrava. Quella stessa sera si manifestò sul palco anche Gianroberto Casaleggio, fino a quel momento una figura anodina e sfuggente – spin doctor? webmaster? – ma nel dubbio subito elevato dai media a “guru” e “ideologo”. «Oltre alla fantasia al potere», disse Casaleggio, «abbiamo bisogno della trasparenza, dell’onesta e della competenza. Con queste cose cambieremo l’ Italia», elaborando in tre concetti la sua offerta politica. Lo slogan vendette molto bene, il Movimento era ancora una scatola chiusa, non se ne conoscevano le dinamiche interne e prometteva di rovesciare un sistema politico.

Una legislatura è stata sufficiente per spogliare il mito della democrazia diretta: i portavoce intercambiabili, le votazioni on-line, le contraddizioni nella linea politica, la protezione dell’ortodossia affidata all’uso disinvolto delle espulsioni, come in un reality, mentre Casaleggio e la sua società si sono rivelati meno rumorosi ma più incisivi di Beppe Grillo: uno vale uno, forse, ma gli impulsi partono da Milano, non da Genova. Una politica parlamentare fondata sulla massima confusione con il minimo sforzo.

La democrazia on-line e l’armamentario futuribile di certe visioni si sono spesso concretizzate in dinamiche più vicine a un’assemblea di istituto che a una distopia, e nei cinque anni di opposizione il Movimento è trasfigurato in un partito vero e proprio, con leadership, gerarchie interne, conflitti. Un partito anomalo, perfettamente inserito nell’ondata populista europea, con buona pace di chi lo considerava una “costola della sinistra”. In questo percorso il Movimento ha eletto con un mini-plebiscito un nuovo capo politico, Luigi Di Maio, che dalla rivoluzione è passato a certificare la propria affidabilità presso investitori, istituzioni internazionali, cancellerie. Nonostante le amministrazioni di Roma e Torino.

71gypv7+l5LLe dinamiche pentastellate sono state dissezionate nel libro di Jacopo Iacoboni, L’Esperimento – Inchiesta sul Movimento 5 Stelle, pubblicato da Laterza, che ne ricostruisce la storia, la discutibile democrazia interna, il rapporto simbiotico tra on-line e off-line, tra la gestione del sito di Beppe Grillo e la linea politica, ma soprattutto il ruolo di Casaleggio e della sua società nella vita del partito, anche dopo la morte del fondatore. Una leadership che si è trasmessa di padre in figlio per via ereditaria, come si fa nelle aziende di famiglia. In vista delle prossime elezioni il Movimento di lotta ha provato a vestirsi da governo: si è dato un nuovo Statuto, un Codice Etico e una molto novecentesca suddivisione tra guida politica e guida carismatica, tra potere temporale del blog e potere spirituale del comico. Ma più che un divide et impera, sembra la velleità nostalgica di un album solista.

Anticipato in un videomessaggio – che solo con una certa accondiscendenza può essere chiamato “discorso di fine anno” – Beppe Grillo aveva annunciato la nascita di un blog separato dal Movimento. E così è stato. Oggi è nato il nuovo blog di Grillo, che è un dichiarato ritorno alle origini, senza alcun riferimento al Movimento 5 Stelle. «Un’avventura straordinaria di liberazione, di mente, di fantasia, di utopie, di sogni, di visioni», scrive nel post di apertura. Non un viaggio, ma un’allucinazione, in cui non sembra esserci più spazio per Roma, le parlamentarie, la politica. Un po’ di visione, un po’ di futuro. Una separazione digitale che riguarda il cuore ideologico e l’attivismo del Movimento, perché chi governa il blog e la piattaforma Rousseau può dettare la linea politica, ha il database degli iscritti, i banner pubblicitari.

Dall’esterno è difficile capire se sia un divorzio rabbioso o una rivoluzione pacifica, ma la mutazione dei 5 Stelle si era già manifestata con la designazione di un nuovo leader, lasciando a Grillo la figura sfocata del garante. La furia distruttiva del capo comico sostituita dalla burocrazia minima e ordinaria dei completi di Di Maio. Il Movimento senza Beppe Grillo è già un’entità diversa, ma l’elezione di Di Maio è un atto che ne libera l’identità: la presenza di Grillo disorientava, perché ogni dichiarazione correva lungo la linea di demarcazione tra comico e politico, un’assurdità per una democrazia compiuta. La designazione di un nuovo capo chiarisce finalmente le ambiguità di una politica in costante fibrillazione tra la proposta e la provocazione, dietro cui nascondere gli istinti peggiori. Di Maio vuole essere un politico, non un comico, almeno di questo siamo certi. Ma la mutazione, per ora, non ha spostato il Movimento dalle suggestioni di un populismo vagamente autoritario e antieuropeista, per cui la competenza tecnica non è un valore, ma lo sono l’onestà e lo spontaneismo.

ITALY-POLITICS-ELECTIONS

In Fire and Fury, il libro in cui Michael Wolff racconta da insider l’elezione e i primi mesi della presidenza Trump, si descrive lo sconcerto di alcuni membri della sua campagna elettorale per una vittoria che nessuno si aspettava. Se per le elezioni politiche del 2013 può restare il dubbio che qualcuno nel Movimento – e buona parte del corpo elettorale- abbia sospirato di sollievo per la mancanza di una maggioranza per governare, ritagliandosi un comodo ruolo di opposizione in cui consolidarsi e crescere, queste elezioni sono diverse: il Movimento corre apertamente per essere il primo partito italiano. L’Esperimento però– come spiega Iacoboni nel suo libro – ha una dinamica nascosta che si riflette all’esterno, influenzando l’azione politica e di marketing parlamentare. L’allontanamento di Grillo dal Movimento 5 Stelle si è già consumato: non detta più la linea politica, almeno non a questo giro. Lo tsunami è degradato a rally per andare al governo, e la devastazione ridotta a un controsterzo sulla Vesuviana.

Fa effetto leggere il nuovo Grillo scrivere «sono stufo delle opinioni, sono stufo delle opinioni», lui che ha sostenuto un mondo in cui uno vale uno, e tutti possono parlare di astrofisica e vaccini. Le conseguenze della separazione della diarchia grillina si vedranno nel lungo periodo. Per ora il Movimento continuerà a identificarsi nell’immagine deformante di Grillo: leader carismatico, comico spirituale, sintesi dell’infallibilità. Ma è un pianeta che si sta allontanando, entrato in un’orbita che conduce verso il futuro, verso i dilemmi etici della robotica, verso «una tartaruga che se gli fai vedere il più bel figo del mondo, la tartaruga vedrà due piedi enormi e due buchi di narici in cima», qualunque cosa voglia dire.

Dopo le elezioni, senza i vaffanculo, gli tsunami, i tutti a casa, resterà Luigi Di Maio, probabilmente circondato da tanti piccoli e ordinati tribuni. Niente visione, niente tartarughe. Un futuro prossimo che non è più quello di Beppe Grillo.

Foto Getty
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