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Tecnicamente, di chi è la Luna?

15 Febbraio 2017

Stando a documenti ottenuti da Politico, la neo-insediata amministrazione Trump ha, tra i piani, quello di proporre uno «sviluppo economico di larga scala dello spazio», in cui immagina anche «sonde lunari private che rivendicano di fatto “diritti di proprietà” del suolo lunare per gli americani». Le rivendicazioni territoriali con oggetto la Luna sono un tema dibattuto da decenni, diventato di attualità con la corsa allo spazio iniziata a metà del Novecento. Il Trattato sullo spazio extra-atmosferico del 1967, firmato e ratificato dalla maggior parte delle nazioni del pianeta, stabilisce che il nostro satellite «non è soggetto di appropriazione nazionale tramite rivendicazione di sovranità, tramite l’utilizzo o l’occupazione, o altro».

Il trattato, da solo, non è bastato a regolare la giurisdizione lunare: nel ’79 è stato seguito dal Trattato sulla Luna, più preciso nel proibire ogni sfruttamento militare e commerciale di ogni corpo celeste. Il “Moon Treaty” ad oggi risulta firmato da sole 17 nazioni, nessuna delle quale una potenza aerospaziale (tra i nomi: Filippine, Kazakistan, Pakistan, Perù). C’è, quindi, una zona grigia che – scrive New Atlas – fa somigliare l’esplorazione spaziale a uno scenario da Far West: il primo che arriva, vince.

30th Anniversary of Apollo 11 Moon Mission

Nel 2015 il governo americano ha passato lo Spurring Private Aerospace Competitiveness and Entrepreneurship (or SPACE) Act, una legge che invita attivamente i cittadini statunitensi a esplorare il cosmo a fini commerciali. L’Act si rivolgeva tanto agli asteroidi, e all’interesse che generano nell’industria mineraria, che alla Luna: ma come si fa a incoraggiare interessi privati in un luogo che non è – o non può essere, almeno secondo un trattato di fine anni Sessanta – di nessuno?

C’è poi un filone di individui che credono di avere legittimi diritti sulla Luna: dal caso di un pensionato tedesco che è convinto di aver ricevuto la sua sovranità lunare da un re prussiano del Seicento, a James Mangan, un uomo di Chicago che nel 1949 ha fondato Celestia, un organismo che reclamava “per l’essere umano” l’intera estensione dello spazio al di fuori della Terra (e che, quando la corsa allo spazio è iniziata sul serio, ha inviato veementi lettere di protesta a Stati Uniti e Unione Sovietica). Forse il caso più interessante è quello di Dennis Hope, un imprenditore che nel 1980 ha avuto un’idea geniale: rivendere la Luna. Dopo aver analizzato il Trattato sullo spazio extra-atmosferico, Hope era giunto alla conclusione che non c’era nessuna valida ragione per non rivendicare il possesso del satellite, così aveva fatto una richiesta formale di acquisizione territoriale all’Onu. Le Nazioni Unite non avevano risposto, e lui l’aveva preso per un silenzio-assenso. Da allora ha guadagnato una stima di 10 milioni di dollari dalla vendita di appezzamenti lunari: tra i suoi clienti, anche Ronald Reagan e George W. Bush.

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